1924-2024: 100 anni di hockey

Ebbene sì… lo avevamo immaginato diverso questo centenario, lo avevamo fissato come un traguardo importante da raggiungere. Abbiamo cominciato a vederlo come tale una decina di anni fa, preparando i pannelli per celebrare i novantanni di storia hockeystica milanese. Perché diciamolo subito, a scanso di equivoci e polemiche, non può essere l’Hockey Club Milano il soggetto che celebra questo anniversario. Un po’ perché non si festeggia il compleanno di qualcuno che non esiste più, un po’ perché sarebbe semplicemente pretestuoso pensarlo: faremmo un po’ come quelli che negli anni ’90 pretendevano di appuntarsi stellette sulla maglia raccogliendo successi che non gli appartenevano.
E noi non vogliamo farlo: perché questa storia è più complessa e in fondo è più bella così. Perché pensiamo che ognuno di coloro che, almeno in parte, la ha vissuta ne colga le sfaccettature che più la rendono propria. C’è chi lega questa storia alle maglie indossate, chi alle squadre viste dal vivo, chi ancora ai giocatori preferiti, chi ad un preciso intervallo temporale, chi addirittura agli avversari affrontati.

Si parlava appunto di una storia complessa iniziata ufficialmente il 10 marzo 1924, data celebrata almeno fino agli anni cinquanta dallo storico nucleo di uomini, figli della “buona società” milanese, che diedero il via a tutto. Decisivo in tal senso fu l’appoggio di persone importanti, basti pensare ad Alberto Bonacossa, la mente che sognò per prima la costruzione del Palazzo del Ghiaccio. Sulla base di quanto stava accadendo nel resto del mondo, fu lui che, nei salotti cittadini, propose a Marco Innocente Mangili l’idea di costruirne uno. La famiglia Mangili aveva d’altra parte le possibilità economiche e gli agganci giusti per farlo. Il nonno di Marco Innocente era il fondatore della Saima (proprio quella dei trasporti), lui stesso era alla testa della Società dei Magazzini Refrigeranti e del Ghiaccio Artificiale Gondrand Mangili. Non gli fu difficile trovare gli specialisti per tirare su in soli otto  mesi l’edificio che ancora oggi fa bella mostra di sé in via Piranesi. A disegnarlo furono gli architetti Sandro Carnelli, Carlo Banfi ed Ettore Radaelli. Senza di loro sarebbe stato impossibile celebrare questo centenario, quanto meno l’evento sarebbe stato spostato un po’ più in là nel tempo.

Marco Innocente Mangili, Alberto Bonacossa e Sandro Carnelli
Il Palazzo del Ghiaccio in tutto il suo splendore

Ci fu poi il primo nucleo storico di giocatori: quelli che “inventarono” in Italia uno sport che semplicemente non c’era, in un mondo ben diverso da quello di oggi. Non ci si svegliava al mattino comprando l’attrezzatura online, ne tanto meno c’era un negozio sotto casa. Non esisteva una federazione, non c’erano arbitri. Si faceva fatica pure a trovare qualcuno contro cui giocare. Almeno agli inizi, oltre alle discrete possibilità economiche, fu decisiva la nobile arte di arrangiarsi, il fai da te, il fare di necessità virtù, l’inventiva, tutte doti che questi ragazzi possedevano in quantità industriale. Non mollarono mai, superando difficoltà che avrebbero potuto far finire tutto, subito. Si pensi a quanto fecero in mancanza del ghiaccio artificiale milanese, giocando su e giù per la Svizzera sobbarcandosi lunghe e poco agevoli trasferte in treno.

Dicembre 1924. Milano alla Coppa Spengler, da sin. : De Luca, Emilio e Guido Botturi, Trippi, Jervis, Decio Trovati, Sancassani. Inginocchiato: Grego.

In un crescendo di numeri fu quasi normale poi la nascita di un’altra squadra, in origine Excelsior Milano, successivamente rinominati Diavoli Rossoneri e legati al calcio Milan. Vi andarono a giocare anche alcuni dei migliori tra i fondatori, pensiamo a Decio Trovati che ne divenne il capitano.

L’Excelsior Milano, con le maglie senza logo, in trasferta in Val Gardena
1934, i Diavoli Rossoneri di Trovati (con la Coppa) vincono la Spengler Cup
1939, i Diavoli Nerazzurri
1942, Associazione Milanese Disco su Ghiaccio

I cambi di denominazione e le fusioni,  legati più a questioni politiche che ad altro avvicinarono il movimento alla guerra. Il conflitto fermò il campionato, non l’ hockey milanese, tanto è vero che già nel 1946 i soliti noti, non più giovani “discatori” ma dirigenti di spessore anche internazionale, si pensi a Calcaterra, posero le basi per la ripartenza, riallacciarono i contatti, specie con il Nord America, per portare a Milano giocatori di spessore.

1946, Ignazio Dionisi, Aldo Federici e Jacques Belanger

Tra “vecchi” incapaci di slacciarsi i pattini, “giovani” costretti a prendersi le loro responsabilità e “giovanissimi” pronti a conquistare il mondo i “numeri” consentirono la nascita addirittura di una terza squadra, l’Amatori Milano e di una quarta, la Bocconi.

1947, Amatori Milano
1953, Bocconi Milano.

Proprio in queste formazioni arrivarono alla ribalta quelli della linea Piranesi: Agazzi, Branduardi e Crotti. Un trio invidiatoci da tutta Europa, un trio che con Bolla e Bedogni costituì il nucleo di una formazione incredibile capace di vincere in tutto il continente.

Agazzi, Branduardi, Crotti

Erano anni in cui Inter e Milan vedevano nell’hockey una continuazione della loro rivalità, un altro terreno di “scontro”. E per questo aprivano il portafoglio garantendo l’arrivo  di giocatori stranieri di livello altissimo: i Martini, i Girard, i Domenico, i Dennison, i Beach, i Cupolo erano quanto di meglio pattinava sui ghiacci europei.

Da sinistra: Orville Martini, André Girard ed Ernie Domenico.
1953, il Milano Inter vince la prima Spengler Cup

L’addio delle società di calcio coincise con una dura presa di coscienza: l’hockey su ghiaccio era – e ci sentiamo di dire è  ancora – uno sport costoso. Il tentativo di riunire il movimento sotto un unica insegna, il richiamo ad entrambe le principali squadre cittadine con la denominazione Diavoli Hockey Club Milano fu un tentativo di serrare le fila. Si trovò per strada un’altra famiglia facoltosa, quella dei Monzino, proprietari tra le altre cose dei magazzini Standa, che si fece carico delle spese, puntando in alto.

Mancò qualcosa, tanto è vero che quei Diavoli vinsero meno di quanto avrebbero potuto fare, ma Monzino faceva di conto e sapeva che per mantenere la squadra in vita era obbligato a farlo. Quelli, in realtà, erano gli anni del Cortina dei “terribili” fratelli Da Rin a cui il Milano opponeva il “mitico” Viale, colui che, pur bolzanino di nascita, ha caratterizzato un’intera epoca dell’hockey milanese.  Con l’uscita di scena della famiglia Monzino, avvenuta soprattutto per dissapori con la Frigoriferi Milanesi proprietaria del Palazzo del Ghiaccio, la caduta di quei Diavoli, dopo una lenta agonia, fu inevitabile. Ci pensò il Turbine a tenere viva la fiammella, permettendo a giovani e meno giovani di continuare a giocare. Agli ordini di Agazzi crebbe un’intera generazione di giocatori che conquistarono una promozione storica, dando modo al presidente Pastorelli di sognare nuovamente in grande.

1977, il Turbine conquista la serie A
1978, Diavoli Gold Market

Da un Turbine gialloverde uscì nuovamente una truppa di Diavoli biancorossi. Un’avventura durata solo un biennio, una nuova chiusura malgrado il tentativo di un manipolo di giocatori di salvare la squadra iscrivendosi alla serie B con il nome Hockey Club Milan Inter e la sponsorizzazione Argo. Ancora una volta fu Agazzi, con Fonzo, a salvare il salvabile, per la prima volta lontano da casa. Il Palazzo del Ghiaccio chiuse le porte all’hockey: per fortuna esisteva una struttura, in prossimità dell’aeroporto di Linate, il centro Saini, che disponeva di una pista all’aperto. Tra allenamenti alle 5.00 del mattino e partite giocate quando il tempo lo consentiva, il nuovo Hockey Club Milano, impossibilitato per cause di forza maggiore a vestire le casacche con il pinguino, continuò a vivere.

1982/83, Hockey Club Milano

Crebbe e finalmente ebbe modo di tornare a casa. La Frigoriferi Milanesi di Giuseppe Cabassi lo fece proprio, la Saima di Alvise di Canossa ne divenne sponsor, i colori predominanti divennero rossoblu. Per ricollegarsi agli ultimi Diavoli tornò addirittura Kim Gellert, uno capace di far innamorare centinaia di appassionati.

Kim Gellert


Poco alla volta, passo dopo passo si tornò in serie A, si conquistò nuovamente uno scudetto, ben trentuno anni dopo il precedente. La serata sognata da tutti i tifosi ebbe luogo appena fuori città, nel nuovissimo Forum di Assago, ideato e costruito dalla famiglia Cabassi.

1990/91, è di nuovo scudetto

Nel frattempo in via dei Ciclamini , per iniziativa di Renato Massa, era sorta una nuova pista, il Palacandy, anche perché con l’Hockey Club Milano erano tornati anche quelli con le maglie rossonere, i Devils. Percorso meno avventuroso e poetico il loro: un imprenditore facoltoso rilevò una squadra militante nelle categorie inferiori, i Diavoli Rossoneri. Con i suoi modi spicci acquistò poi i diritti sportivi dell’Hockey Club Como, che la serie A se l’era meritata sul campo e, presto detto, Milano ebbe nuovamente un derby.

Il Derby

Durò poco, lanciata in orbita l’astronave del Forum, gli eredi di Giuseppe Cabassi decisero di abbandonare. Che botta tremenda: la squadra che aveva vinto il campionato nel 1991, due anni dopo non si iscriveva al campionato! Nel 1994, entrando in politica, anche Berlusconi mollò l’hockey, ancora più velocemente di come vi era entrato. Massimo Moretti e Alvise Di Canossa fecero proprie le aspettative di quanti non si abbandonarono alla disperazione per aver perso una parte della loro vita e fondarono la Sportivi Ghiaccio Milano. Con Kim Gellert allenatore. Arrivò poi il ciclone Quintavalle, la “guerra” alla Federazione, una nuova chiusura. In un mondo che cambiava rapidamente fu ancora una volta Alvise Di Canossa, patron della Saima Avandero – ancora per poco –  a tendere la mano. Riportando l’hockey in città trasferendovi il Cortina, in una sorta di gemellaggio tra nobili decadute. Esperienza durata il volgere di una sola stagione,  d’altra parte il binomio Milano-Cortina non pare funzionare benissimo neanche ora, con un olimpiade alle porte. Arrivarono poi gli anni del dominio Vipers, quelli di passione dell’Hockey Club Milano Rossoblu con cui pensavamo, a torto, di arrivare a celebrare questo centenario. Non è andata così ma questo lo sapete già.


Se siete arrivati fin qui avrete letto una sintesi di quanto scriviamo su queste pagine anno dopo anno, stagione dopo stagione. Non manca molto per concludere il nostro lavoro. Nelle memorie dei nostri pc siamo ormai quasi alla fine degli anni ’90, abbiamo il materiale per concludere il tutto, a volte ci manca solo il tempo di scrivere,  impaginare. Ci sarebbe piaciuto arrivare ad oggi avendo finito di raccontare tutta questa storia. Con un paio di mani in più ci saremmo probabilmente riusciti. D’altra parte in anni bui come questi andare a rilento ci serve per parlare di qualcosa, per tenere vivo il nostro legame con l’hockey, per coltivare le amicizie nate intorno a questo mondo. Quanto durerà? Ai posteri l’ardua sentenza.
Negli anni l’hockey milanese ha sempre avuto la forza di rigenerarsi, ha sempre trovato le forze per ripartire, in soldoni, senza troppi giri di parole, ha sempre trovato qualcuno che ci mettesse “grana” e “passione” sfruttando un capitale umano di persone che bazzicavano attorno al ghiaccio. C’era qualcosa da cui ripartire, un palazzo almeno. Con le Olimpiadi alle porte pensavamo di non avere problemi sotto questo aspetto. C’erano in ballo la ristrutturazione dell’Agorà,  la costruzione del Santa Giulia, il ripristino dell’ex Palatrussardi. Probabilmente non avremo nulla di tutto questo, delle Olimpiadi 2026 non resterà praticamente nulla. Si giocherà nei padiglioni di Rho fiera, la pista della nuova arena sarà dismessa in fretta: possibile che chi lo ha permesso non si vergogni almeno un po’. Difficile in queste condizioni trovare qualcuno che ci metta “grana e passione”.
È colpa della politica? Sprechi, sperperi, incapacità realizzative e organizzative sono senza dubbio questioni legate anche alla politica. In questo senso la colpa è avere candidato Milano per organizzare un evento olimpico? Se guardiamo al passato scopriamo che Piranesi, Agorà, Forum sono stati costruiti da privati non dal “pubblico”. Perché dovremmo aspettarci qualcosa di diverso oggi. Guardate il caos che si sta sviluppando attorno al Meazza di San Siro, altra struttura nata privata e “regalata” al comune di Milano. Può il pubblico costruire e gestire un palazzo del ghiaccio che allo stato attuale non avrebbe neanche qualcuno capace di utilizzarlo appieno? Non sarebbe forse l’ennesimo sperpero di denaro pubblico? In cento anni di storia l’elenco delle occasioni perse è lungo, le Olimpiadi saranno solo un’altra riga da aggiungere alla lista. Con enorme rammarico, perché facciamo fatica ad accontentarci di vivere un paio di settimane di spettacolo. Vorremmo tornare ad esserci, come Hockey Club Milano, per sempre.
In attesa di un nuovo miracolo sportivo, celebriamo un centenario povero, senza ghiaccio, senza squadra, convinti della massima che niente e nessuno muore finché vive nel cuore di chi lo ricorda. Per questo facciamo in modo che  la memoria dell’Hockey Milanese sia forte in noi. Per questo continuiamo a celebrarla, per questo non ci arrendiamo.

Sulla base di questo non ci resta che augurare buon centenario  a tutti quelli che hanno memoria, a quelli che tra mille difficoltà, con coraggio, facendo di necessità virtù,  continuano ad indossare i pattini sotto insegne diverse, agli amici conosciuti nei Palaghiaccio, ai compagni di tifo, agli avversari storici.
Milano c’è e vive nei nostri ricordi, nella speranza che si torni, presto o tardi, ad accumularne di nuovi.

Ognuno a modo suo, ognuno sotto la propria bandiera, i propri colori, ognuno con la propria storia: all’interno di una storia più grande, centenaria, quella dell’Hockey Milanese.

Quella che celebriamo oggi.

Enrico Calcaterra; portiere, arbitro e dirigente: il primo italiano nella Hall of Fame della IIHF.

Author: Claudio Nicoletti