Sono passati ormai trent’anni da quando la formazione che aveva riportato il tricolore dell’hockey in città cessò di esistere al termine di una stagione entusiasmante e tormentata allo stesso tempo. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima. Quella formazione tuttavia aveva riacceso la passione per il ghiaccio in città, dato il via al progetto Forum di Assago, riportato Milano ai vertici in Europa. Quella squadra semplicemente non poteva sparire senza che qualcuno combattesse per lei. A distanza di trent’anni tutto pare essere cambiato. Troppe ferite hanno allontanato dalle piste ghiacciate gran parte di coloro che all’epoca si fecero in quattro per dare il là ad un miracolo sportivo, rivedere i colori rossoblu dal vivo. Era un mondo diverso da quello di oggi: c’erano imprenditori italiani alla guida di aziende italiane, fatto sempre più raro di questi tempi dominati da multinazionali e manager vari aridi di passioni e sempre più alla ricerca di puro business. Se Inter e Milan sono finite in mano a cinesi e fondi vari chi si potrebbe ancora interessare all’hockey milanese? La città in fondo deve ringraziare Giorgio Armani per aver salvato, risollevato e tenuto ai vertici la gloriosa Olimpia. E che si mantenga sempre in salute è la preghiera di chi segue le scarpette rosse: perché all’orizzonte, in fondo, non si vede nessuno di lontanamente paragonabile ad Armani. Trent’anni fa non era così: il tessuto economico della città regalava imprenditori più o meno facoltosi, spesso vogliosi di investire nello sport, manager capaci di tessere le trame giuste.
Eppure anche all’epoca l’hockey visse incredibili difficoltà.
Recuperando i quotidiani di quei giorni per raccontare quelle annate non posso fare a meno di rivivere quei momenti, partendo dallo scudetto perso il 14 aprile 1992 per colpa di un rigore non tirato da Kevin Lavallee: sembra ieri. La tensione di una partita giocata a porte chiuse andata in onda su telepiù, la prima Tv a pagamento italiana che trasmise l’incontro in chiaro. Le voci dei pochi presenti che facevano da sottofondo ad un match irreale, il non capire perchè l’arbitro avesse fermato l’attaccante rossoblu, i rossoneri che festeggiavano sul ghiaccio.
Allo scoramento per una sconfitta sportiva arrivata in modo assurdo ben presto si sommò una “rabbia” ancora più grande. Da li a pochi giorni (ma i ben informati lo sapevano già) Giovanni Cabassi fece un passo indietro, ipotizzando una fusione tra il Milano e i Devils ripercorrendo una strada intrapresa quasi quarant’anni prima con la fusione tra il Milano e i Diavoli Rossoneri. Era ormai maggio: da tifoso rossoblu, non conoscendo le storie del passato come ho avuto modo di scoprire negli anni a seguire, l’idea mi apparve strampalata. Per me era come se Inter e Milan diventassero una cosa sola: semplicemente impossibile, ipotesi incommentabile. Ma era sopratutto l’inizio di un’estate di passione, speranza, paura.
Il 13 maggio l’Armata Piranesi organizzò una manifestazione sotto l’abitazione di Massimo Moretti per convincerlo a scendere nuovamente in “pista”. Quasi duemila persone lo “costrinsero” a impegnarsi in un tentativo disperato di salvataggio della squadra.
Il 19 maggio il Milano non si iscrisse al campionato. L’allora presidente della federazione Paul Seeber concesse una proroga di una settimana dando il via ad una vera e propria corsa contro il tempo. Leo Siegel sulla Gazzetta dello Sport informava quotidianamente gli appassionati sulle pagine milanesi della rosea.
Il 23 maggio accendeva così le speranze: “Salvare il Milano adesso si può”. Tra il gruppo Cabassi e Moretti è stata tracciata la strada per il passaggio di consegne. I tifosi organizzarono una campagna abbonamenti al buio: tra i primi a “tesserarsi” John Chabot e Claudio Chiappucci.
Il 9 giugno terminò la “prelazione” dedicata a Moretti-Tadini da parte della società. Si aprì la “svendita” dei cartellini.
Il 16 giugno arrivò come un uno-due di “Iron” Mike Tyson la notizia della cessione di cinque giocatori ai Devils: Stewart, Beraldo, Vecchiarelli, Foglietta e Campese.
Il 21 giugno la telenovela dell’estate sembrava essere giunta al termine: “la cordata Tadini avrebbe trovato i finanziamenti necessari a rilevare la società.”
Due giorni dopo la notizia che tutti aspettavano:
“Il Milano torna sul ghiaccio: salvo” titolò la Gazzetta. Il gruppo guidato da Tadini avrebbe rilevato società e giocatori per un miliardo di lire.
Calò sostanzialmente il silenzio sull’operazione: rumours relativi al nuovo sponsor, notizie più o meno verificate di mercato, speranze di allestire un roster dignitoso. Il 1° luglio venne organizzata un’assemblea in cui Tadini illustrò la complessa situazione ai tifosi.
Poi, il 14 luglio, la notizia che gli appassionati non avrebbero mai voluto sentire. Fu la Gazzetta a gelare le residue speranze degli appassionati: ” Per il Milano crack su ghiaccio”.
Con un telegramma la proprietà Cabassi, nella figura di Ernesto De Filippis, spense le speranze di salvezza. Il gruppo Tadini d’altra parte non sembrava essere ancora nelle condizioni di soddisfare appieno tutte le condizioni convenute se è vero che erano ancora in alto mare le trattative per reperire le sponsorizzazioni necessarie a raggiungere il budget sperato.
Malgrado tutti in questi mesi di “passione” furono poste le basi per la rinascita, la città comprese che non poteva ammainare la bandiera dell’Hockey Club Milano. Questo malgrado sulla pista dell’allora Palacandy giocasse un’altra formazione che si ispirava alla tradizione dei Diavoli Rossoneri.
Morire per risorgere: quella volta a guidare il nuovo progetto sportivo furono Massimo Moretti ed Alvise di Canossa. Dietro di loro tanti appassionati, sportivi, tifosi a cominciare dall’indimenticabile Rosario Oriana, uno di quelli che per l’hockey milanese hanno speso una vita intera.
Ecco forse oggi mancano personaggi di questo tipo: appassionati veri, personaggi credibili davanti alle istituzioni, persone che possano costruire qualcosa di vero dando fuoco alle polveri di una passione da troppo tempo riposta in un cassetto.
In un momento in cui non si vede la luce in fondo al tunnel ci si affida ai corsi e ricorsi storici, alla speranza, ai sogni.
In fondo “nessuna notte è tanto lunga da impedire al sole di risorgere”.