“Il Superman delle piste di ghiaccio”: Kim Gellert… Gol!!!

Kim Gellert è a tutti gli effetti il re Mida dell’hockey milanese. Giocatore straordinario, allenatore dei propri compagni di squadra a metà degli anni ’80, quindi a tempo pieno a partire dal 1993. Carlo Gobbi lo identifica come “il Superman delle piste del ghiaccio” già nel 1979, quando “l’uomo” di Kripton imperversa nei cinema italiani interpretato da Christopher Reeve. Il canadese, dopo due anni all’Alleghe, è appena arrivato in città per deliziare gli appassionati del Piranesi con le sue giocate.

“The magic man” è capace di trasformare in oro ogni singolo momento della sua avventura milanese: con un’unica eccezione, quel maledetto 9 dicembre 1995, quando viene liquidato con eccessiva fretta da Umberto Quintavalle. La sua colpa? La scelta di fermare la squadra dopo il terribile incidente che vede protagonista il pullman rossoblu appena partito alla volta di Bolzano. Non crediamo ci sia alcun tifoso che abbia avallato quella scelta all’epoca, figurarsi a posteriori con tutto quello che ne seguì.

Nato in un paesino dell’Ontario, Schreiber, il 31 dicembre 1954, Kim è “costretto” a giocare ad hockey dal medico, che suggerisce alla madre di fargli indossare i pattini per correggere una problematica ai piedi. Così almeno racconta Kim sulle pagine della rivista Milanosiamonoi nel 1994, facendo interessare decine di tifosi italiani alla medicina ortopedica canadese.

Nello stesso articolo, insieme a numerosi aneddoti familiari, parla della sua carriera a partire dagli esordi, nella squadra del paese con cui vince il campionato Junior B, fino all’arrivo nella squadra universitaria dei Lake Superior State, dove, giocando dal 1973 al 1976, si segnala come uno dei migliori attaccanti della formazione. Per questo viene draftato dai Phoenix Roadrunners, squadra della WHA, la seconda lega professionistica nordamericana, nel 1974 come 203° scelta assoluta al tredicesimo giro.

I tre capitani dei Lakers nel 1974-75: Bob Webb, Kim Gellert e Giulio Francella con l’allenatore Comley. Assistant coach di quella formazione Paul Theriault, una lunga militanza in Italia negli anni ’90 sui panconi di Alleghe e Varese.

Nei tre anni universitari ottiene innumerevoli soddisfazioni personali, raccogliendo i titoli di miglior giocatore della sua squadra (All-CCHA first team nel 1974) e di miglior centro del campionato. Ma nei Lake Superior fa soprattutto l’incontro che ne segna inevitabilmente la carriera, la vita stessa. Nei primi due anni gioca infatti con Giulio Francella, che nel 1975 trova un ingaggio ad Alleghe. Terminati gli studi Kim deve decidere se accettare una proposta per giocare in qualche minors in nord america, coltivando il sogno di pattinare tra i professionisti, o varcare l’oceano per arrivare in Europa, dove le sue qualità tecniche possono senza dubbio fare la differenza.

Pur avendo partecipato già a qualche camp con diverse squadre NHL, l’ultima in ordine di tempo i New York Islanders, Kim sceglie di seguire i consigli di Francella, arrivando così in Italia. Prima ad Alleghe dove si ferma in riva al lago mettendo a segno centinaia di punti, poi a Milano, chiamato dal presidente Pastorelli al difficile compito di sostituire Ray McKay tornato anzitempo in America.

Gellert in maglia Alleghe e Diavoli: si noti il numero 19, sostituito poi con il numero 20, con il passaggio al Gardena. In precedenza una stagione con il numero 14 nel 1973-74.

Mai scelta si è rilevata più azzeccata: con Cupolo e Covo, Gellert forma una linea fantastica, capace di segnare valanghe di reti giocando ad una velocità mai vista prima al Piranesi. Fa letteralmente “innamorare” centinaia di tifosi che si ritrovano a coltivare la speranza di rivedere vincere i Diavoli al grido “Gellert gol”. In realtà la squadra è troppo corta numericamente per tenere il passo delle big del campionato. Mancano probabilmente solo pochi innesti per essere realmente competitivi ai massimi livelli. Purtroppo la storia ci racconta come i Diavoli si scontrarono ancora con la federazione, portando Pastorelli ad abbandonare i sogni di gloria chiudendo la squadra al termine di quella stagione.

Gellert in maglia Diavoli: nella foto a sinistra con Pugliese e Covo, a destra con Cupolo e Covo

Per Gellert da segnalare ben sessantasei marcature in quella prima avventura milanese, gol e giocate che lo renderanno l’uomo ideale per richiamare i tifosi al Piranesi qualche anno dopo, a metà degli anni 80 per rilanciare l’hockey milanese. In attesa degli eventi Gellert si trasferisce al Gardena, malgrado un flirt estivo con i Detroit Red Wings, vincendo due campionati in tre stagioni e raggiungendo ben due volte la vetta della classifica a punti. L’allenatore di quella squadra è Ron Ivany, in pista c’è ancora Adolf Insam.

Ad Ortisei Kim conosce anche Helene, la donna con cui convolerà a nozze da li a qualche anno. Nel 1982 arriva il primo trasferimento a Varese, dove in linea con Cary Farelli fa autentici sfracelli delle difese avversarie. Due stagioni sempre nelle prime posizioni delle classifiche personali prima del passaggio all’Asiago. Anche con la formazione dell’altopiano mantiene una media punti abbondantemente superiore a due per serata.

Superati i trent’anni accetta la corte del Milano: ingaggiato da Guido Radaelli per una ventina di milioni di lire è chiamato a guidare sul pancone e sul ghiaccio una squadra composta da un manipolo di giovani che danno sostanzialmente il via alla rinascita dell’hockey milanese. Diventa così il “trait d’union” tra l’epopea dei Diavoli e la formazione chiamata a rinverdirne i fasti del passato, l’Hockey Club Milano.

Gellert-gol torna ad essere l’uomo immagine della squadra, il richiamo per tutti coloro che hanno vissuto l’epopea dei biancorossi ma diviene ben presto anche la calamita che fa avvicinare all’hockey centinaia di ragazzi. In serie A sarebbe ancora uno dei top player del campionato, si può quindi immaginare che cosa sia fra i cadetti: semplicemente la stella indiscussa, il giocatore più dominante della categoria, quello che anche da solo vale il prezzo del biglietto. La gente affolla il Piranesi, sempre più numerosa: nessuno ha dubbi che Gellert possa segnare, piuttosto ogni sera si scommette su quanti dischi il canadese metterà alle spalle del goalie avversario. La stagione 1985-86 serve a delineare il progetto pluriennale di crescita: a fine anno arriva anche l’ex nazionale Pagnello a rimpolpare la difesa ma, complice un infortunio allo stesso Gellert, è ancora troppo presto per ambire ai massimi livelli.

Per questo l’estate 1986 porta ulteriori e necessari innesti di spessore, a partire dal goalie cortinese Zumofen, fino ad arrivare al nazionale Lodovico Migliore, ideale compagno di linea per Kim. Il Milano gioca bene, in casa è quasi imbattibile: “de chi se pasa no” scrivono i tifosi. Gellert e Migliore realizzano decine di reti (saranno sessanta a testa a fine stagione) ma il campionato termina tra le lacrime nell’amara serata di Cavalese.

Gellert Gol al tiro. In alto Alvise Di Canossa a sinistra e Massimo Moretti a destra

Il Saimex, falcidiato nel reparto arretrato dagli infortuni, viene sconfitto 5-4 dai padroni di casa. Per Gellert e per tutto l’ambiente non è consolatorio il titolo di miglior realizzatore del campionato. Dopo due annate in crescendo la società decide di sgravare Gellert dal compito di allenare i compagni di squadra. In sua vece viene chiamato Ron Ivany, già coach del canadese a Gardena e Varese. I risultati, complice anche un’imponente campagna acquisti, si vedono in pista e fuori, con una sempre crescente attenzione sul mondo hockey. Il Milano non può più sbagliare ma sul finire della stagione il Gardena espugna il Piranesi garantendosi il fattore campo nella finale playoff. Il resto è storia conosciuta, con la rete del compianto Guido Tessari a portare in vantaggio il Saimex nel corso del terzo periodo di gara 3 consegnando agli annali una storica promozione. Pur restando il leader indiscusso dello spogliatoio, Gellert viene superato al comando delle classifiche dei goal e dei punti da Tony Fiore e Mario Cerri. Con la serie A cambiano gli obiettivi della squadra nonché i regolamenti. Il Milano mette a roster numerosi giocatori di scuola canadese. I goalie Campese e Maggio, i difensori Levie, Fascinato e Stewart, mentre in attacco, ai confermati Fiore, Cerri e Cava, si aggiungono Catenacci e, strada facendo, Denis Houle in sostituzione di Stewart. Le presenze di Gellert subiscono un drastico ridimensionamento anche perchè, contando di poterlo schierare da naturalizzato per matrimonio, il Milano occupa i due slot “stranieri” con i difensori Levie e Stewart. L’avventura del fenomenale canadese con il Saima finisce di fatto qui. Ma Gellert in città ha messo su famiglia, tanto da far nascere i figli Michela ed Alex alla clinica Mangiagalli. “Superman” viene così identificato come l’uomo ideale per guidare il progetto “Alaska”, il farm team del Milano in cui Gellert torna a vestire anche i panni dell’allenatore.

Sul ghiaccio il numero – il 20 – è lo stesso di sempre, i numeri sul ghiaccio, pur a scartamento ridotto, pure. Il mancato trasferimento a Roma porta allo scioglimento della squadra e Kim trova un ingaggio in Val di Fassa, dove vive da spettatore privilegiato la cavalcata del Milano verso uno scudetto che mancava da trentuno anni.

Gellert vs Fiore: destini incrociati per quasi un decennio

Non si arrabbi chi era in pista se consideriamo un pezzo di quel titolo anche suo: in fondo è stato proprio Gellert a riaccendere le braci della passione milanese per l’hockey, è stato lui a far avvicinare decine, centinaia, migliaia di appassionati, è grazie a lui che l’interesse dei media è cresciuto di partita in partita. Quello scudetto è anche suo e poco importa se non sia fisicamente sul ghiaccio quel 2 marzo 1991: i primi mattoni per la costruzione di quel successo, del Forum stesso, li ha messi lui a partire dal 1985.

L’estate 1991 lo riporta a Varese: a trentasette primavere compiute, complice un infortunio proprio contro il Milano, la scelta di chiudere con l’hockey giocato diventa obbligata malgrado l’interessamento del Gardena in vista della stagione successiva.

Due campioni sul viale del tramonto: Jim Corsi e Kim Gellert

E’ impossibile ridurre la sua carriera italiana ad un semplice calcolo numerico, una somma dei gol, degli assist, dei punti. Gellert è stato molto più di questo, si è fatto apprezzare dai tifosi di ogni squadra in cui ha giocato, ha deliziato gli appassionati con le sue giocate, ha reso l’hockey italiano un po’ più spettacolare in ciascuna delle sedici annate in cui ha giocato.

Anche per questo il suo nome è da subito in cima alla lista “coach” stilata da Moretti-Di Canossa in vista della stagione della rinascita. Il suo nome nella partita revival è stato tra i più gettonati, i numeri sul ghiaccio sempre gli stessi: se solo reggesse anche il fisico avrebbe un posto assicurato anche in squadra.

Partita revival 1993: Gellert timbra il cartellino con presenza, gol e assist.

Ma i tifosi si accontenterebbero di rivederlo sul pancone rossoblu. Quando comincia a circolare il suo nome ogni tifoso ha un fremito: fra lui ed il buon Anisin nessuno ha dubbi su quale possa essere la scelta migliore. E così Gellert torna a Milano per la terza volta, acclamato come sempre. Dal canto suo, Kim fa della S.g. Milano una squadra tutto cuore e grinta, sostenuta da un ambiente sin da subito disponibile al sacrificio e alla lotta. I tifosi si mettono a disposizione della società e dei giocatori, capiscono la necessita di soffrire sugli spalti come sul ghiaccio, insieme. E Gellert ancora una volta è abile a chiamare a raccolta il suo pubblico, i suoi tifosi, a farne il settimo uomo sul ghiaccio ad ogni incontro casalingo, nelle vittorie e nelle sconfitte.

Due stagioni di lotta, di trincee davanti alla gabbia di Zanier prima dell’arrivo del “ciclone” Quintavalle. I nuovi progetti di gloria, le ambizioni, una buona partenza di stagione nell’autunno 1995. E poi l’inverno, un dannato fuoristrada a tutta velocità contro la fiancata del pullman milanese, l’addio.

Mai ci fu divorzio più ingiusto, più doloroso. Una storia d’amore interrotta senza un vero perchè. Passano gli anni, passano le stagioni e Gellert è ancora Milano. Sulle volte dell’Agorà ha campeggiato a lungo la sua maglia numero 20, ritirata in epoca Hockey Club Milano Rossoblu. Per dare modo ai padri, trasportati da ricordi indelebili, di raccontare ai figli chi era Kim Gellert. Con la speranza di tornare a vedere volare il Milano sul ghiaccio, con i crampi nello stomaco osservando la situazione attuale.

Gellert in occasione dell’Hockey All Stars 2009

Aspettando il nuovo “Kim Gellert”, non ci tocca che dare il nostro benvenuto nella “Ca’ del Giazz” a quello originale, all’unico “Superman delle piste ghiacciate”, l’uomo per cui Milano resterà sempre “de-kryptonizzata”, Lex Luthor, alla guida di un fuoristrada, permettendo.

Author: Claudio Nicoletti